di Chiara M. Travisi
Il corpo, le membra, gli organi d’azione e di senso, la psiche sono molto “nostri”.
Il respiro non è altrettanto “nostro”. Tuttavia, il respiro è più di ogni altra cosa “per noi”.
Prashant Iyengar
Le tecniche di governo del respiro, prāṇāyāma, sono state e sono il fulcro di moltissime pratiche ascetiche. Le prime attestazioni, seppur non sistematiche, risalgono all’Atharva-Veda-Samhita, “Raccolta di conoscenze per atharvāṇas, le regole della vita quotidiana”, redatto dal XVI sec a. C. (XI, 4).
BKS Iyengar, Guruji, ne ha fatto non solo il complemento, ma soprattutto il luogo in cui sublimare gli sforzi ardenti intrapresi quotidianamente nella pratica degli yog-āsana. Nel prāṇāyāma possiamo infatti veder fruttificare gli esiti dell’allenamento all’attenzione, alla concentrazione e al sentire “il dentro da dentro” messi in atto negli āsana, sulle nostre capacità sensibili e sulla proliferazione del pensare. Irrinunciabile dunque, una volta create le giuste fondamenta con gli āsana, impegnarsi per una pratica regolare anche del prāṇāyāma.
Guruji ha insegnato che, come il vaso di terracotta dev’essere cotto prima di essere usato, allo stesso modo il corpo deve essere preparato per essere pronto al prāṇāyāma. Serve in particolare un supporto stabile, ālambana, su cui far posare la nostra cognizione senza che gli organi addominali, toracici e gli organi di senso vengano disturbati durante la pratica. Il supporto è la nostra colonna vertebrale.
Questa sequenza, che si ispira alla lezione del 27 Marzo 2021, non solo vuole creare sensibilità e stabilità nella colonna vertebrale ma anche sbloccare i movimenti di espansione della gabbia toracica che devono accompagnare una respirazione piena e completa, alla base dell’esperienza di integrazione che ricerchiamo nel prāṇāyāma.
Foto 1, a, b, c, d. Movimenti a “manico di secchio” e movimenti a “valve di conchiglia” delle costole durante espirazione ed inspirazione
In entrambi i casi, la colonna vertebrale funge da fulcro e punto stabile a partire dal quale i due diversi movimenti si esplicano.
(Illustrazione dettagliata dei movimenti del torace e costole in Iyengar, 1997, p.48 ss.)
Foto 2. Anantāsana
Sdraiati sul fianco sinistro. Utilizzare un bolster per sostenere la parte inferiore del torace e il diaframma. Tenere le gambe piegate e appoggiare la tempia sinistra sul braccio, utilizzando una coperta per sostenere la testa.
Fase 1: Rimanere rilassati e percepire un senso di completo rilascio nell’addome, nel diaframma e nel torace. Osservare la leggera spinta dell’emitorace sinistro contro il cuscino durante l’inspirazione e il suo ritrarsi dal cuscino durante l’espirazione. Successivamente, sfruttando la sensazione di contatto con il bolster, espandete intenzionalmente poco per volta tali movimenti. Ripetere più volte coordinando il movimento di espansione del torace durante l’inspirazione con la spinta contro il cuscino e il ritrarsi dal cuscino con l’espirazione. Ripetere sull’altro lato.
Foto 3. Anantāsana con braccia in ūrdhva hastāsana
Fase 2: Alzare il braccio destro e muoverlo lateralmente in ūrdhva hastāsana, percependo il movimento di innalzamento delle costole laterali, a “manico di secchio”. Ripetere più volte coordinando il movimento del braccio verso l’alto con l’inspirazione e verso il basso con l’espirazione. Ripetere sull’altro lato.
Foto 4. Dwi pada viparīta daṇḍāsana sul cuscino
In questo caso, il cuscino è sostenuto da due mattoni per avere un supporto più rigido per il bacino, che è il centro della posizione. Tenere le braccia larghe e le gambe separate alla larghezza del tappetino, utilizzando una cintura al collo dei piedi. Mantenendo stabilmente l’estensione delle ginocchia e l’allungamento dei talloni per allungare la zona lombare, lasciare invece che il torace “scenda” nella direzione opposta, verso la testa. Come ci hanno insegnato Guruji e Geetaji, il torace si apre back-to-front, ovvero dal dietro al davanti. Si può percepire quindi come in questo āsana la colonna dorsale posteriore risulti tesa e “contratta” in favore di una completa estensione della colonna dorsale “anteriore”. Percepire la stabilità della colonna dorsale posteriore e delle scapole e il conseguente allungamento dell’area retrosternale. Grazie alla stabilità del dorso e delle scapole, le ascelle posteriori ricevono un sostegno e una spinta verso l’alto che innalza l’area cardiaca, lasciandola riposare quieta mentre l’area sternale e le clavicole si allargano.
A partire dalla colonna dorsale, percepire l’apertura anteriore delle costole laterali e dell’area sternale durante la fase inspiratoria ed espiratoria: movimenti a “valve di conchiglia” e a “manico di secchio” combinati.
Rimanere nella posizione dai 2 ai 6 minuti. In caso di difficoltà, alzare la posizione dei piedi o tenere le gambe piegate o appoggiate su una sedia.
Foto 5. Bharadvajāsana sulla sedia
Avvolgere il torace con una coperta piegata a soffietto in tre. Nella torsione a destra, tenere il lembo destro della coperta sotto e il lembo sinistro sopra, in modo da poterlo tirare con la mano destra. Durante l’inspirazione estendere completamente la colonna ed espandere il torace come nelle fasi precedenti. Senza soluzione di continuità, al termine dell’inspirazione, coordinare il movimento di torsione con la fase espiratoria tirando la coperta con il braccio destro. La presenza della coperta aiuta a mettere in movimento il torace percependo la rotazione di tutti i muscoli intercostali, interni ed esterni, e del diaframma durante l’espirazione. I muscoli intercostali e il diaframma vengono strizzati e massaggiati riacquisendo elasticità e tono. L’espirazione è completa e non vi è nessun tipo di grip interno nel torace, che deve essere soffice e morbido durante la torsione. Ripetere avendo cura di mantenere morbidi laringe e diaframma. Ripetere più volte da entrambi i lati fino a sentire maggiore morbidezza ed elasticità nel torace e nel diaframma.
Foto 6. Sulla sedia per l’osservazione del respiro, ujjāyī, fase I, con la coperta
Utilizzare la coperta per avvolgere il torace, oppure una cintura. Tenere la colonna vertebrale stabile (dorso, scapole ecc.) e innalzata frontalmente. Rilassare il viso (pelle, tempie, occhi, guance, lingua ecc.) e tenere gli organi addominali e toracici morbidi. Seguire i movimenti del torace indotti dal respiro utilizzando la superficie di contatto tra coperta e torace come punto d’osservazione. Percepire le costole laterali innalzarsi ed aprirsi lateralmente e frontalmente durante l’inspirazione e tornare alla loro condizione di partenza durante l’espirazione (per la respirazione ujjāyī, fase I, vedi Iyengar, 1997, p.171).
Rispetto all’utilizzo della cintura l’ampiezza della superficie della coperta aiuta a creare sensibilità e movimento in tutte le costole, fino a percepire movimento anche nella parte alta del torace, quella ascellare e clavicolare, che è la più difficile da raggiungere. Protrarre questa fase dai 2 ai 6 minuti in base alle capacità.
Foto 7. Sulla sedia per l’osservazione del respiro, ujjāyī, fase I, con la cintura
Foto 8. Prāṇāyāma in posizione seduta
Per i praticanti più esperti, sedersi sulla sedia o sul bolster per viloma e ujjāyī
prāṇāyāma (altrimenti, eseguire le tecniche da sdraiati con un adeguato supporto sotto il torace). Per facilitare l’estensione della colonna anteriore, utilizzare una coperta arrotolata sotto il coccige ed eventualmente, per non irrigidire inguini e addome, un sostegno per le ginocchia, cintura o pesi. Iniziare con l’osservazione del respiro come nella fase precedente per sentire la colonna stabile e i movimenti di espansione del torace.
Fase 1: Proseguire con viloma fase IV (Iyengar 1997, pp.191-192) nella inspirazione provando a mettere le pause come a voler procedere ‘costola dopo costola’. Non forzare la salita dell’inspirazione ma concentrarsi invece sui movimenti di espansione laterale e sull’elasticità dei movimenti. Proseguire da 2 a 6 minuti in base alle capacità intervallando i cicli di Viloma con cicli di recupero in cui nuovamente tornare a percepire la stabilità della colonna (dorso, scapole ecc.) e la morbidezza dei tessuti di torace e addome.
Fase 2: Proseguire con ujjāyī, fase III nella inspirazione (Iyengar 1997, pp.174-176). Provare ad eseguire ujjāyī come a voler unire le fasi del precedente viloma: espandere lo spazio tra ogni costola senza soluzione di continuità mentre l’inspirazione si innalza gradualmente. Non sforzarsi di innalzare l’inspirazione ma lasciare che sia l’espansione orizzontale del torace a far salire spontaneamente l’inspirazione verso ascelle, clavicole e sterno. Proseguire da 2 a 6 minuti in base alle capacità intervallando ujjāyī con cicli di recupero.
Terminare la pratica con un lungo savāsana, da eseguire con una coperta arrotolata posta longitudinalmente sotto la colonna e che sostenga dal coccige alla base del collo mentre la nuca rimane a terra. Osservare l’esito della pratica in modo equanime. “Slegarsi” gradualmente dal respiro, percependo il respiro che attraversa tutta la pelle del corpo. Posare citta – organi sensibili, cognizione, l’atto del pensare, il senso dell’io – sul corpo inerme e inerte. Mantenere savāsana a piacere.
Bibliografia:
Atharva Veda, https://www.sacred-texts.com/hin/av/av11004.htm
BKS Iyengar, Teoria e Pratica del Pranayama, Roma, Mediterranee, 1997.
Prashant Iyengar, Prāṇāyāma (A Classical and Traditional Approach), Pune, Ramamani Iyengar Memorial Yoga Institute, 2014.
Referenze Immagini:
Chiara Travisi per Light On Yoga Italia
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