07/06/2023
di Maria D'Olica
L’Haṭha Yoga Pradīpikā (HYP), che significa letteralmente “lucerna dell’haṭha yoga”, è uno dei testi più antichi ed importanti relativo all’haṭha yoga, ma la sua datazione è incerta. Il più antico manoscritto che ci è pervenuto porta la data del 1626, ma sicuramente la composizione è almeno di un secolo più antica, o forse due, verso il 1450 (Mallinson, 2011, p.771).
Per haṭha yoga si intende il percorso dello yoga che si attua dall’inizio del secondo millennio in poi, dove le posizioni fisiche o āsana acquistano una notevole importanza. Secondo alcuni studiosi, con questi testi inizia il cammino dello yoga che oggi ha una diffusione globale. È attualmente in corso un progetto che prevede di rivedere criticamente dieci manuali di yoga, scritti tra l’XI e il XIX secolo, (Mallison, Haṭha Yoga Project) con la revisione di tutti questi testi e nuove traduzioni e approfondimenti sui contesti storici e culturali in cui operavano i maestri di yoga che hanno lasciato testimonianza scritta. Ovviamente fra questi testi non poteva mancare l’HYP. Caratteristica comune di questi manuali è di riferirsi all’ambito culturale “tantrico”, in cui l’universo e gli esseri umani sono permeati dall’energia divina o ṣakti e la trasmissione del sapere ha carattere di segretezza ed avviene da maestro ad allievo. Per quanto riguarda lo yoga, si distingue tra lo yoga di Patañjali, o raja yoga, lo yoga per la mente, che si situa ad un livello più alto e l’haṭha yoga, o yoga che passa attraverso l’esercizio fisico.
Svātmārāma, autore dell’HYP, “colui che prende diletto (rāma) nel proprio (sva) sé (ātman)”, come si comprende dal significato del suo nome, era uno yogi. Viveva in un periodo storico nel quale la pratica dell’haṭha yoga si concretizzava nel tramandare le conoscenze da maestro ad allievo. Pochi erano certamente i testi (manoscritti) che approfondivano le pratiche, soprattutto quelle relative al corpo (involucro) anche in considerazione del carattere esoterico della pratica yogica. Il suo testo ha avuto, e continua ad avere, un enorme successo fra gli yogi perché riuscì a schematizzare le varie fasi della pratica e a renderle fruibili sia per lo studioso che per il praticante.
La struttura dell’Haṭha Yoga Pradīpikā
Svātmārāma sembra aver seguito lo schema adottato da Patañjali negli Yoga Sūtra, dividendo il testo in 4 pādā o “lezioni” dedicati rispettivamente agli āsana, al prāṇāyāma, al risveglio dell’energia kuṇḍalini e al samādhi. I due testi sono estremamente diversi: mentre il testo di Patañjali è un trattato filosofico di alto profilo, quello di Svātmārāma vuole essere un manuale per la pratica in modo da accompagnare lo yogi affinché possa comprendere le origini della disciplina e come svolgere in maniera corretta sia gli āsana che le altre pratiche ad essi correlate. La differenza rispetto agli Yoga Sūtra è appunto l'importanza data al corpo fisico, non soltanto per il maggiore dettaglio dato all'esecuzione degli āsana, ma anche per l'enfasi su una serie di pratiche, anche forse un po’ bizzarre, di dieta e purificazione. Entrambi i testi mantengono come obiettivo comunque il raggiungimento del samādhi. L’HYP ha un approccio esoterico tanto da ricorrere frequentemente ad analogie, metafore e significati nascosti.
La prima lezione si può dividere a sua volta in 4 parti. Nella prima l’autore elenca i grandi maestri che sono stati fonte di ispirazione e i maestri reali, sottolineando il suo lignaggio, elemento fondamentale nella cultura induista, nonché il paramparā, cioè il tramandarsi delle conoscenze tra maestro e allievo. Evidenzia come questi grandi maestri attraverso l'haṭha yoga abbiano raggiunto il samȃdhi, congiungendosi con lo spirito assoluto e conclude dicendo che lo yoga è il mezzo per sfuggire i dolori legati alla natura umana liberandolo dalle sofferenze terrene.
Sottolinea in maniera chiara come questo percorso non possa essere intrapreso senza un maestro. Quindi prima di trattare nel dettaglio la pratica, ricorda che solo un iniziato può comprendere gli insegnamenti e, al fine di raggiungere il samȃdhi, deve essere mantenuto il segreto per evitare di disperderne i benefici (HYP, I. 11).
Dopo le premesse iniziali passa a descrivere alcuni elementi fondamentali per poter intraprendere la pratica. In particolare descrive il luogo, lo yoga śala, come viene definita in sanscrito, la casa o la stanza dello yoga, un posto sacro che come tale va rispettato e approcciato. Le caratteristiche fondamentali sono l’isolamento, le dimensioni, la pulizia, la sicurezza ed una fonte d’acqua al suo esterno. Prosegue evidenziando che per una corretta pratica ci sono alcuni elementi di impedimento (il troppo mangiare, la stanchezza, le chiacchiere vane, le inutili regole verso sé stessi, la socializzazione, l'irrequietezza) mentre altri sono necessari (l'entusiasmo, la forza di volontà, la perseveranza, la conoscenza della verità, la convinzione, la rinuncia alle relazioni sociali).
Gli āsana e i loro effetti
Dopo aver parlato di yama e niyama, pur non conferendo loro un ruolo centrale ma propedeutico alla pratica, spiega perché ritiene che gli āsana, portando l’equilibrio tra mente e corpo e sviluppando l’energia vitale nell’uomo, siano il primo aṅga dell'haṭha yoga:
haṭhasya prathamāṅgatvādāsanaṁ pūrvamucyate |
kuryāttadāsanaṁ sthairyamārogyaṁ cāṅgalāghavam || 17 ||
Si descrive prima gli āsana, in quanto sono il primo aṅga dell’haṭha.
La pratica degli āsana conduce il corpo ad uno stato di stabilità, dona libertà dalle malattie e porta leggerezza al proprio vero essere (HYP, I. 17)
Gli āsana, donano allo yogi sthairya, potenza e forza, mentali, fisiche e spirituali. Donano anche arogya, ovvero la salute, intesa sempre in senso ayurvedico ovvero olistico, salute di mente corpo e spirito, nonché anga lāghava, facilità del corpo, leggerezza, intesa questa volta per le membra del corpo fisico. Attraverso l'assunzione di diverse posizioni, lo yogi diviene in grado di purificare i canali energetici (nādī), incanalare l'energia verso specifici punti del corpo ed ottenere così un notevole beneficio psicofisico.
Svātmārāma passa a descrivere alcuni degli āsana scegliendo fra quelli che vennero insegnati anche dal primo yogi della storia ovvero Matsyendra, il Signore dei Pesci (HYP, I. 18).
I primi undici āsana formano una pratica quasi completa e coerente con l’insegnamento dell’haṭha yoga, come verrà meglio evidenziato nei capitoli successivi. Posizioni sedute a gambe incrociate che diventano sempre più intense, seguite da posizioni di estensione all'indietro, torsioni, piegamenti in avanti, posizioni di equilibrio sulle braccia concluse con śavāsana.
Mentre per i primi sette āsana viene esposta una semplice descrizione, nei successivi quattro spiega anche quali sono i benefici, in particolare:
matsyendrāsana - risveglia Kuṇḍalinī e stabilizza l'energia lunare
Fig. 1 - matsyendrāsana
paścimottānāsana - fa circolare la corrente vitale lungo la schiena, risveglia il fuoco gastrico, riduce il ventre e dona la salute
Fig. 2 - paścimottānāsana
mayūrāsana - posizione del pavone - elimina rapidamente ogni malattia, a partire dalla dilatazione della milza e dalla circolazione. Consuma totalmente tutti i cibi malsani o presi in eccesso, vivifica il fuoco gastrico e fa digerire anche i veleni mortali
śavāsana - posizione del cadavere - Toglie la fatica e dona il riposo mentale
Fig. 3 - śavāsana
Gli āsana “essenziali”
Svātmārāma completa l’elenco degli āsana parlando di altri quattro, che ritiene essenziali, fra gli 84.000 descritti da Śiva. Tale gruppo è composto da siddha, padma, simha e bhadra.
Nella descrizione di questi āsana, a differenza dei precedenti, Svātmārāma dà indicazioni pratiche anche sui i tre bandha (mūla bandha, uḍḍīyāna bandha e jālandhara bandha). Inoltre spiega dove indirizzare lo sguardo nonché la posizione della lingua. Quindi sottolinea come tali āsana siano completi solo se associati alla chiusura dei bandha e alla corretta gestione del prāna.
Fig. 4 - siddhāsana
Il primo è siddhāsana, o posizione perfetta, con le sue varianti vajrāsana, muktāsana e guptāsana. Svātmārāma dice che deve essere praticato sempre. È il più importante fra gli āsana tanto che sostiene che se per dodici anni si medita, si osserva una dieta moderata e si pratica siddhāsana si ottiene la realizzazione finale (HYP, I. 40). Apre la porta dell’illuminazione e purifica le 72.000 nādī.
Nel descrivere questa posizione, pone un parallelismo affermando che, come il più importante fra gli yama è una “dieta moderata” e tra i niyama è la “mancanza di desiderio di nuocere”, così siddhāsana è il principale fra tutti gli āsana (HYP, I. 38).
Come si può vedere esprime una visione differente degli yama rispetto a quella di Patañjali, infatti nei cinque yama di Patañjali non è presente la “dieta moderata”.
Svātmārāma dedica ben dieci sūtra per spiegare l’importanza di siddhāsana delle sue varianti e dei benefici e conclude dicendo che “non c'è nessuna posizione come siddhāsana, nessun kumbhaka come l’apnea spontanea kevala, nessun gesto mudrā come la lingua khecarī, la lingua contro il palato, e nessun suono laya come il silenzio nāda”.
Gli āsana praticati al tempo e la documentazione archeologica
Nell’elenco degli āsana descritti in questo testo colpisce l’assenza delle posizioni in piedi, utthiṣṭha sthiti, nonché di quelle capovolte, viparīta sthiti. Sicuramente l’autore ha voluto fare una cernita fra le innumerevoli āsana ma la loro totale assenza fa pensare che in passato fossero considerate meno significative a differenza di quanto avviene oggi. Altro aspetto evidente dalla descrizione delle posizioni è che lo yoga era principalmente praticato dagli uomini sempre in contrapposizione a quanto avviene invece oggi.
I monumenti dell’India ci illuminano sulla pratica ai tempi di Svātmārāma mostrandoci tutti i gruppi delle posizioni yogiche. In particolare è possibile vederle rappresentate nelle sei colonne decorate che sono sopravvissute nel maṇḍapa (sala esterna pilastrata per riti religiosi pubblici) tra gli antichi resti scultorei del tempio Brahmanath (nome derivato da un asceta “Nath Brahmanath” che sembra aver raggiunto in questo luogo il samādhi). Il tempio, che può essere datato al XIII-XIV secolo, si trova a Parunde, piccolo villaggio a 10 km a sud-ovest di Junnar nel distretto di Pune (Sarde, Dandekar 2015)
Fig. 5: Pilastro nel tempio di Brahmanath
Un altro luogo in cui sono conservati rilievi che raffigurano molte posizioni di yoga è la città fortificata medievale di Dabhoī nel Gujarat, 34 chilometri a sud-est di Vaḍodarā che sembra risalente al tredicesimo secolo. Questa città è caratterizzata dalla presenza di quattro porte straordinarie rivolte ai quattro punti cardinali. Nelle porte sono raffigurati elaborati scultorei di rara bellezza, in particolare nella porta Mahuḍī (Nord), si possono ammirare le posizioni yogiche praticate dai nātha-siddha (Sarde 2017). Il proseguimento delle ricerche sta svelando altri siti archeologici interessanti per la storia dello yoga.
Fig. 6: Interno della Porta Mahuḍī
Le caratteristiche della pratica
Svātmārāma insiste, nella descrizione fisica degli āsana sul concetto di “mangiare equilibrato” esplicitando dettagliatamente le tipologie di cibi necessari ad uno yogi e indicando anche quelli che non devono fare parte della sua dieta. Inoltre, prima di chiudere la prima lezione Svātmārāma, facendo riferimento anche a quanto scritto da Gorakṣa nel testo Gorakṣa -śataka (la Centuria di Gorakṣa – 101 sūtra che descrivono i punti principali della pratica dello haṭha yoga) sottolinea che uno yogi deve astenersi dall’usare il fuoco, dal frequentare le donne e dall’intraprendere viaggi (HYP, I. 61).
Due dei sūtra che più caratterizzano la prima lezione ci permettono di intravedere qualche aspetto della personalità di Svātmārāma, convinto del fatto che soltanto ed esclusivamente la pratica costante permette di ottenere benefici:
Yuvā vṛddho|ativṛddho vā vyādhito durbalo api vā|
abhyāsātsiddhimāpnoti sarvayogeṣvatandritaḥ || 64 ||
Il giovane l’anziano o il molto anziano, il malato o anche il debilitato, instancabili in ogni aspetto dello yoga, grazie al continuo esercizio, ottengono la completa realizzazione (HYP, I. 64)
Na veṣadhāraṇaṃ siddheḥ kāraṇaṃ na ca tatkathā |
kriyaiva kāraṇaṃ siddheḥ satyametanna saṃśaya || 66 ||
Né l’indossare le vesti color zafferano, né parlare di yoga è causa della realizzazione finale, bensì la pratica costante è la causa della realizzazione. Questa è la verità, senza dubbio (HYP, I. 66)
Svātmārāma conclude (HYP, I. 67) sottolineando che tutte le fasi, āsana, prāṇāyāma, risveglio dell’energia kuṇḍalini e samādhi sono necessarie per il raggiungimento del rāja-yoga. La pratica dello yoga, e relativi benefici, erano legati indissolubilmente in tutti i loro aspetti. Quindi la pratica comprendeva gli āsana, il prāṇāyāma, i bandha, i mudrā.
Da questi ultimi sūtra appare chiaramente come l’animo umano non sia cambiato molto nonostante sia trascorso un tempo abbastanza lungo. Allora come oggi era diffusa la convinzione che l’apparire fosse più importante dell’essere, da qui la necessità di ribadire l’ovvio. È necessario quindi praticare fino al raggiungimento dell’obiettivo. Intraprendere la strada dello yoga era anche allora molto complesso. Oggi, soprattutto in occidente, è ancora più difficile. Siamo circondati da oggetti che assumono giorno dopo giorno valori inspiegabili a discapito della cura e della crescita armoniosa dell’individuo. Ciononostante, direbbe Svātmārāma, l’occidente sembra pieno di “yogi”.
James Mallison, Haṭha Yoga, in Brill Encyclopaedia of Hinduism, 3, 2011, pp. 770-781, (https://www.academia.edu/1317005/Haṭha_Yoga_entry_in_Vol_3_of_the_Brill_Encyclopedia_of_Hinduism).
James Mallison, Haṭha Yoga Project Proposal (https://www.academia.edu/21682284/Haṭha_Yoga_Project_Proposal).
Vijay Sarde, Abhijit Dandekar. Archaeological Signatures of the Nath Cult: A Study of the Yogic Postures and Rituals Depicted on the Brahmanath Temple at Parunde, District Pune, in Journal of Multidisciplinary Studies in Archaeology 3 (2015), pp. 232-254.
Vijay Sarde, Yoga on Stone. Sculptural Representation of Yoga on Mahuḍī Gate at Dabhoī in Gujarāt, Journal of Multidisciplinary Studies in Archaeology 5 (2017), pp.656‐675.
Yogi Svātmārāma, Haṭha Yoga Pradīpikā, Sanskrit text with English Translation and Notes, Translated by Pancham Sinh, http://sacredtexts.com.
Svātmārāma, La lucerna dello Haṭha Yoga (Haṭha Yoga Pradīpikā), a cura di Giuseppe Spera, Torino, Magnanelli, 1990.
Valentina D’Angelo per l’archivio AIYI
Vijay Sarde in https://deccancollegepune.academia.edu/VijaySarde
New York Times (https://www.nytimes.com/2014/01/03/arts/design/yoga-the-art-of-transformation-at-sackler-gallery.html)
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