19/03/2024
a cura di Emanuela Zanda
Figura 1. Vishnu e Lakshmi sul serpente a mille teste, in viaggio per la Via Lattea (Londra, Victoria and Albert Museum, 1870 circa)
“Non usate la parola kuṇḍalinī così a caso…Io non pretendo di poter svegliare kuṇḍalinī, ma certamente lo yoga lo fa…per favore ricordate che si tratta di energia divina, ed è solo la grazia divina che la risveglia” (B.K.S. Iyengar, in Aṣṭadaḷa Yogamālā, 7, p.235)
Svātmārāma inizia la terza “lezione” dell’Haṭhayoga Pradīpikā con una immagine suggestiva: kuṇḍalīni è il sostegno (sarva) di tutte le pratiche dello yoga, come Śeṣanāga, il Serpente a mille teste, sostiene la terra, con le sue montagne e foreste (HYP, III.1). Śeṣanāga aveva avuto direttamente da Brahman l’incarico di stabilizzare la Terra sulla Via Lattea, rendendone regolare il movimento; così il grande serpente a mille teste diventa sostegno della Terra, con Vishnu e Lakshmi che si riposano su di lui.
Come l’Universo è in perenne movimento, così la mente è in perenne movimento; la Terra deve essere sostenuta, in modo che le sue montagne e foreste restino stabili; kuṇḍalīni è il sostegno della pratica yoga, ciò che rende fermo il praticante nel suo percorso yogico, ovviamente una volta che questo venga perseguito con dedizione nel tempo.
B.K.S. Iyengar osserva che il terzo capitolo dell’Haṭha Yoga Pradīpikā riguarda l’unione del Sé con la forza divina: āsana e mudrā aiutano a sospendere le fluttuazioni della mente, intelligenza ed ego, in modo tale che l’attenzione venga richiamata all’interno (Astadala Yogamala, 2, p.159); questo attiva la śakti di kuṇḍalīni che altrimenti rimarrebbe addormentata, come “stordita” dalle fluttuazioni mentali e dai desideri per il mondo dei sensi che chiudono i centri energetici del corpo.
Con il risveglio di kuṇḍalīni, tutti i centri del corpo sono attraversati dal prāṇā e la mente è libera dall’attrazione verso gli oggetti (HYP, III, 3).
Svātmārāma, coerentemente con le finalità della sua opera, non si occupa della filosofia o della natura di kuṇḍalīni, ma soltanto delle tecniche che illuminano il cammino del praticante. Quindi chi desidera approfondire lo yoga tantrico o il clima filosofico in cui si sviluppa l’idea di kuṇḍalīni, oppure spiegazioni più esaurienti sui cakra e le loro caratteristiche si deve rivolgere ad altre fonti e testi (si trova ad esempio un elenco in Silburn 1997, pp.293-296).
Figura 2. Krishnamacharya esegue mahāmudrā
Le prime tre mudrā
Per il risveglio di questa energia, che giace addormentata alla base di suṣumnā (canale centrale del corpo, vedi figura 3), occorre soprattutto praticare le dieci mudrā, che prevengono la vecchiaia, allontanano la morte e conferiscono poteri soprannaturali. Queste mudrā, che erano state esposte da Ādinath, il primo dei Nath, da identificare con lo stesso Śiva, vanno tenute rigorosamente segrete.
La prima è mahāmudrā, che fa sollevare kuṇḍalīni “come si solleva un serpente con un bastone”, rimuovendo tutti i mali come avidyā (ignoranza).
B.K.S. Iyengar si è ispirato direttamente a Svātmārāma per scrivere a proposito di mahāmudrā (Light On Yoga, pp.147-148). Svātmārāma ripete di nuovo l’obbligo alla segretezza e ammonisce anche gli insegnanti: questa mudrā non va insegnata a chiunque!
La seconda mudrā si chiama mahābandha: si porta il tallone sinistro sotto il perineo e il piede destro sulla coscia sinistra e si eseguono jālandhara bandha e mūla bandha. Questa posizione è efficace nel portare alla confluenza le tre correnti di iḍā, piṅgalā e suṣumnā; va completata con l’azione sul respiro con ritenzione interna che si chiama mahāvedha.
In conclusione, queste prime tre mudrā, ben presenti nell’Iyengar Yoga, vanno secondo Svātmārāma (lo ribadisce di nuovo: HYP, III.30) tenute segrete perché donano i siddhi, poteri soprannaturali. Si devono praticare otto volte per lato, ogni tre ore, ogni giorno. Si tratta di una pratica facile, adatta per allievi -noi diremmo cosi- intermedi.
Khecarī
Seguono ben 22 śloka dedicati alla descrizione di khecarī, che negli scritti di B.K.S. Iyengar non viene mai menzionata. Si tratta di rovesciare la lingua in modo tale da inserirla nella cavità del naso, rivoltando anche gli occhi in alto. Non si tratta di un movimento naturale, ma di un’azione che va preparata poco per volta con l’erosione graduale del frenulo sotto la lingua. I vantaggi che vengono acquisiti sono senza confronti perché si raggiunge in questo modo il luogo del “puro vuoto”, la sede di khecarī mudrā.
Mūla bandha, uḍḍiyāna bandha, e jālandhara bandha
L’illustrazione di questi tre importantissimi bandha contiene indicazioni che vengono riprese e molto ampliate da B.K.S.Iyengar. Si tratta di azioni essenziali per la pratica del prāṇāyāma, e Guruji li spiega, per motivi ben precisi, in un ordine diverso (Teoria e pratica del prāṇāyāma, pp.125-135).
Svātmārāma inizia con mūla bandha per cui occorre premere il tallone contro il perineo e contrarre l’ano; in questo modo āpana vayu (la forza che muove la secrezione) risale invece che scendere; āpana si riunisce con prāṇā e questo ha un effetto di ringiovanimento; inoltre si percepisce con intensità il calore dell’energia del corpo, svegliata da kuṇḍalīni che entra in suṣumnā come il serpente entra nella sua tana (HYP, III, 58).
Segue uḍḍiyāna, che indica un grande uccello che sale, infatti il prāṇā sale nella suṣumnā. Per ottenere questa “spinta”, occorre mandare in dentro l’addome sia sopra che sotto l’ombelico, con forza, come un leone contro un elefante (HYP, III.61). E’ la migliore di tutti i bandha e consente, se praticata regolarmente per almeno sei mesi, di ritornare giovani, vincere la morte e ottenere la liberazione.
Infine, jālandhara bandha si esegue, come noto, contraendo la gola e tenendo il mento fortemente appoggiato al petto (HYP, III, 69), in questo modo si chiudono tutti i canali e il flusso discendente dalle regioni superiori. La contrazione della gola ha effetto sul cakra mediano (viśuddha), che controlla i sedici ādharā (HYP, III, 70), punti vitali o punti di supporto per la meditazione; infatti questo cakra ha sedici petali.
Figura 3. Illustrazione schematica del corpo sottile
Secondo B.K.S. Iyengar invece, jālandhara bandha è il primo bandha che deve essere insegnato ed imparato (Teoria e pratica del prāṇāyāma, pp.126-130). Sappiamo da Guruji che è impossibile praticare con sicurezza il prāṇāyāma senza eseguire jālandhara bandha: si avvertirebbe immediatamente pressione sul cuore, sul cervello, sui globi oculari, con possibili problemi di vertigini e problemi all’orecchio interno. L’equilibrio dell’energia che avviene con jālandhara bandha deriva dal bilanciamento dei plessi solare e lunare e non può essere ottenuto in altro modo. Quindi è importante, per i principianti, imparare questa pratica.
Per quanto riguarda uḍḍiyāna bandha, B.K.S. Iyengar riprende molti degli argomenti di Svātmārāma, e spiega con grande ricchezza di nuovi dettagli l’esecuzione di questo bandha, specificando che va eseguito dopo l’espirazione e che quindi non è consigliabile a chi ancora non padroneggia le tecniche del kumbhaka.
Infine, su mūla bandha, B.K.S. Iyengar spiega con pazienza la differenza rispetto a uḍḍiyāna e quindi suggerisce di iniziare praticando antara kumbhaka. Invita alla cautela nella pratica di uḍḍiyāna e mūla bandha: chi conosce e impara a praticare i tre bandha, ha a disposizione uno strumento potentissimo e deve saperlo utilizzare per direzionare l’energia secondo gli obbiettivi dello yoga (Teoria e pratica del prāṇāyāma, pp.134-135).
Viparītakaraṇi
E’ la posizione capovolta che pratichiamo anche oggi. Svātmārāma la descrive come la postura in cui il sole (l’ombelico) è sopra e la luna (il palato) è sotto (HYP, III, 75); in questo modo il nettare che fluisce dalla luna non finisce inghiottito dal sole. Ripete più volte che si può apprendere soltanto dalle istruzioni di un guru. La durata della posizione si deve incrementare gradualmente, fino a tre ore. Poiché il sole (dell’ombelico) viene privato del nettare (lunare), è necessario mangiare a sufficienza se si pratica molto questa posizione (HYP, III, 79).
Vajrolī e śakticālanam (sahajoli e amaroli)
Queste pratiche, che non sono menzionate negli scritti di B.K.S. Iyengar, partono dal presupposto che le secrezioni degli organi riproduttivi, sia maschili che femminili, non devono essere disperse ma risollevate con varie forme di trazione, tra cui anche le mudrā descritte in precedenza. E’ interessante che in questo caso ci siano vari riferimenti anche alle donne, che possono diventare yogine se praticano vajrolī (HYP, III, 84). “Una donna che trasporta verso l’alto il proprio rajas (secrezione pelvica) è una vera yogina; conosce il passato e il futuro e riesce sicuramente nella levitazione” (HYP, III, 100).
Figura 4. Rappresentazione del corpo sottile in un disegno ottocentesco (Wellcome Collection)
Conclusione
Soltanto verso la fine della “lezione”, Svātmārāma riprende l’argomento di kuṇḍalinī: “Come la porta si apre mediante una chiave, così lo yogi deve aprire la via della liberazione mediante la pratica, kuṇḍalinī yoga” (HYP, III, 103).
Kuṇḍalinī lega gli ignoranti all’illusione del mondo, chiudendo con la sua bocca la via lungo la quale l’energia si deve inoltrare; chi la muove, raggiunge la liberazione. Kuṇḍalini addormentata viene paragonata ad una povera vedova, totalmente passiva (HYP, III.108). Deve essere conquistata con la forza dello yoga, afferrandola per la coda, e, inspirando dalla narice destra, deve essere fatta rientrare nella suṣumnā per un’ora e mezza al giorno, due volte al giorno (HYP, III, 110). Resta inteso che ogni pratica va eseguita con la mente concentrata e che bisogna impedire ai pensieri di vagare (HYP, III, 126).
B.K.S. Iyengar non concorda con tutte le pratiche suggerite da Svātmārāma, ma ha dedicato particolare attenzione a kuṇḍalinī, alle funzioni delle nāḍī, all’analisi dei cakra, ai motivi della diversa importanza apparentemente attribuita a kuṇḍalinī dagli Yoga Sutrā e dall’ Haṭhayoga Pradīpikā; al risveglio di kuṇḍalinī e ai pericoli di sottovalutare questa potente energia (Aṣṭadaḷa yogamālā, 7, pp.221-239). Gli effetti del risveglio di kuṇḍalinī si possono accostare agli effetti delle siddhi descritte nel terzo padā degli Yoga Sutrā e fanno parte da ogni punto di vista del cammino dello yoga benchè oggi si senta a volte parlare di kuṇḍalinī yoga con una certa superficialità.
Postilla: Svātmārāma e l’Altro Sesso
Figura 5. Tempio delle Yogine, Hirapur, Orissa
A differenza dei primi due capitoli dell’ Haṭhayoga Pradīpikā in cui le donne vengono quasi ignorate, nel terzo capitolo ci sono parecchi riferimenti che ritengo interessante ricordare, nel quadro della nostra riflessione collettiva sullo yoga e la donna. La donna compare in due gruppi di śloka, dove si parla della segretezza delle pratiche e rispetto a vajrolī.
Per quanto riguarda il primo aspetto, Svātmārāma accosta la segretezza delle pratiche alle auspicabili, ma non scontate, virtù femminili della modestia e riservatezza. In sintesi, dalle donne oneste ci si aspetta in primo luogo che stiano zitte, soprattutto a proposito di questioni personali (HYP, III, 9); la loro bellezza ed il loro fascino sono inutili se non hanno un marito (HYP, III, 25). La bellezza, la sensualità e la gioventù femminile sono un pericolo, da cui occorre difendersi con le mudrā (HYP, III, 41).
Sono quindi presenti i consueti stereotipi: la donna deve essere controllata e dominata in quanto temibile tentatrice, potenzialmente infedele e mai sufficientemente sottomessa.
D’altro canto, parlando di vajrolī e delle altre pratiche connesse, uomini e donne sono viste con pari dignità nel loro percorso yogico (HYP, III, 84); addirittura, si parla esplicitamente di unione sessuale e comune stato di beatitudine (HYP, III, 90) e di possibilità per la donna di compiere completamente la propria evoluzione spirituale (HYP, III, 100).
L’impressione è che Svātmārāma, da maestro illuminato, conosca le potenzialità e la perfetta uguaglianza della donna dal punto di vista spirituale (e quindi anche intellettuale…), ma da uomo che parla ad altri uomini vada a stuzzicare la complicità maschile citando luoghi comuni sempre di moda (in tutti i luoghi, in ogni tempo), tanto nessuna donna avrebbe mai letto il suo testo.
Le cose non sono andate così, ed oggi lo yoga è praticato e studiato, in Occidente, più dalle donne che dagli uomini. Doveroso quindi sottolineare il progresso compiuto senza dimenticare il passato, che non risale ai lontani tempi di Svātmārāma, ma è passato prossimo anche da noi.
A meno di non volere, come è sempre stato, stare zitte e fare finta di niente.
Nota: Per la numerazione degli śloka ho utilizzato la nuova edizione critica del testo, ora parzialmente disponibile online: hathapradipika.online; il progetto era stato descritto da James Mallison in academia.edu. Per la traduzione testuale ho fatto riferimento invece a Svātmārāma, Haṭhayogapradīpikā (La Chiara Lanterna dello Hatha Yoga), Edizione curata da Swami Digambarji, traduzione G. Thozhuthumkavayalil Dharamarama, Torino, Savitry, 1978.
Bibliografia
A. Avalon, Il potere del serpente, Roma, Mediterranee, 1968.
T.K.V. Desikachar, The Heart of Yoga, Developing a personal practice, Rochester, Inner Traditions International, 1995.
B.K.S. Iyengar, Light On Yoga, London, George Allen &Unwin, 1966.
BKS Iyengar, Teoria e pratica del prāṇāyāmā, Roma, Mediterranee, 1984.
B.K.S. Iyengar, The Yoga of Light, in Aṣṭadaḷa Yogamālā, 2, New Delhi, Allied Publishers Private Limited, 2001, pp. 153-161.
B.K.S. Iyengar, Kuṇḍalinī, in Aṣṭadaḷa Yogamālā, 7, New Delhi, Allied Publishers Private Limited, 2008, pp.223-239.
James Mallison, Haṭha Yoga Project Proposal (https://www.academia.edu/21682284/Haṭha_Yoga_Project_Proposal).
L. Silburn, La kuṇḍalinī o l’energia del profondo, Milano, Adelphi, 1997.
Svātmārāma, Haṭhayogapradīpikā (La Chiara Lanterna dello Hatha Yoga), Edizione curata da Swami Digambarji, traduzione G. Thozhuthumkavayalil Dharamarama, Torino, Savitry, 1978.
Swami Svātmārāma, Haṭhayogapradīpikā, Commentary by Hans Ulrich Ricker, Introduction by BKS Iyengar, Aquarium Press, 1992.
Svātmārāma, La lucerna dello Haṭha Yoga (Haṭha Yoga Pradīpikā), a cura di Giuseppe Spera, Torino, Magnanelli, 1990.
Referenze immagini
Wikipedia; Susanna Ricci per Riforma.it, Desikachar, The Heart of Yoga, p.70; Ekam Sat India.
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