Area riservata ai soci

Sadhana - Filosofia

16/05/2024

David Meloni: l'esempio della pratica

a cura di Cristina Carrossino ed Emanuela Zanda

 


 

Quando ti sei avvicinato allo yoga, agli inizi della tua pratica personale cosa ti ha coinvolto di più? Cosa ti ha permesso di proseguire con costanza e disciplina?

Ho avuto il mio primo avvicinamento allo yoga tramite mia madre. Proprio in quel periodo, quando avevo 5 anni, aveva comprato casualmente un libro sullo yoga. C’era da parte di mia madre il desiderio di prendersi del tempo per sé e non voleva nessuno nella stanza in cui praticava. Solo due o tre volte mi fu concesso di assistere e vedere cosa faceva. Così la mia prima idea dello yoga è stata qualcosa di segreto, di nascosto. Quando mi faceva stare con lei cercavo di copiare, guardavo il libro dove c’erano posizioni semplici, la massima difficoltà era sīrṣāsana. Successivamente mia madre smise di praticare yoga con questo libro; Io lo ripresi in mano quando avevo circa 14 anni ma la mia pratica non durò a lungo. Provai vari sport, approdai al karate e mi dedicai all'agonismo; ma arrivai ad un punto dove non riuscivo più a migliorare. Mi venne consigliato l’haṭha yoga, sulla base dell’esperienza di un atleta della nazionale degli anni ‘70 che sosteneva di aver avuto benefici riguardanti proprio la concentrazione, l’elasticità e la capacità di ottenere risultati di grande rilievo. Quindi mi misi in testa di provare lo yoga. Avevo circa 18 anni, e andai alla ricerca di un libro più esaustivo di quello. In quel periodo, nel 1995 si trovavano svariati manuali del settore degli anni 60-70, basati sul misticismo, sulla parte esoterica dello yoga, e anche questi aspetti mi colpirono molto. Continuando la mia ricerca, trovai un piccolo libro, Sport e Yoga di Selvarajan Yesudian ed Elisabeth Haich contenente spunti interessanti. Seguendo le indicazioni, notai, da solo, dei progressi proprio sugli aspetti che cercavo, elasticità e “esplosività”, possibilità di eccellere nei risultati. Anche gli esercizi di respirazione furono di grande aiuto.

In generale notai un miglioramento che si espresse anche a livello agonistico. In quel momento ero interessato allo yoga come coadiuvante allo sport che facevo, come mezzo di supporto.

Ad un certo punto percepii dentro di me sempre più la necessità di approfondire e trovai il libro di Guruji che per me fu come una folgorazione. Dal libro sorse il desiderio di andare oltre, però non avevo possibilità di trovare riferimenti a nessuna scuola. Iniziai quindi a prendere spunto da tutti i libri che Guruji indicava sia in Teoria e Pratica dello Yoga e soprattutto nella sua autobiografia Iyengar, La vita e l’opera.

Proseguendo con le sequenze di Teoria e Pratica dello Yoga, sempre più lunghe e intense, arrivai a praticare fino 4-5 ore di seguito; terminavo tremante e il sistema nervoso era troppo sollecitato. Mi resi conto che la pratica poteva diventare pericolosa e che avevo bisogno di una vera guida.

Successivamente risultò molto importante per me frequentare le lezioni, praticare regolarmente e ritornare sempre ai principi fondamentali e all’uso dei supporti. Erano proprio queste le tematiche che rischiavo di tralasciare perché le consideravo poco interessanti. Procedendo con le lezioni e la pratica, più avanti compresi l’importanza fondamentale dei supporti, anche nel prāṇāyāma, che praticavo in modo discontinuo proprio per le tensioni alla schiena che sentivo nelle posizioni sedute non supportate ma con il tempo e la pratica dei fondamentali mi risultò poi possibile rimanere seduto per un tempo prolungato per praticare prāṇāyāma quotidianamente.

Nel tempo ho imparato a lavorare con le azioni di base e con le sequenze e poco per volta le cose sono migliorate, sono passato dal tremare e dall’avere tensioni ovunque ad imparare ad evitare questi effetti. La cosa più difficile è stata non cercare la performance a tutti i costi perché, anche con una preparazione adeguata, soprattutto nelle posizioni indietro, era facile sentire dolore e nelle torsioni avere qualche fastidio organico.
 



 

Quali sono, a tuo parere, le indicazioni fondamentali che come insegnanti e studenti abbiamo il dovere di seguire nel nostro percorso di pratica e di osservazione personale?

Ho imparato nel tempo a capire quale era il mio limite, e quanto potevo spingermi nella pratica quotidiana; ho lavorato mettendo insieme i principi fondamentali sui quali costantemente Guruji insisteva. Ho imparato a praticare non per “fare la posizione”, con l'obiettivo di chiuderla, ma a lavorare secondo il suo insegnamento, concentrandomi sui piccoli particolari, frammentando la posizione. Lui diceva di applicarsi costantemente su questo.

Quando arrivai al Ramamani Iyengar Memorial Yoga Institute di Pune per la prima volta, ci volle naturalmente del tempo prima di ricevere attenzione da Guruji ma dopo anni mi disse di avvicinarmi e di praticare vicino a lui. Mi disse: “Vedi, tu praticamente puoi fare tutto quello che c'è nel libro, ma la tua pratica è completamente vuota”. Sul momento provai un senso di frustrazione. Poi capii che nella mia pratica erano assenti gli aspetti più importanti, mancava la sensibilità per percepire effettivamente i collegamenti nel dettaglio. Avevo le informazioni, conoscevo le azioni ma non avevo la capacità di metterle in pratica in modo consapevole. Avevo flessibilità e forza che mi permettevano di ottenere apparentemente il risultato, però, come diceva Guruji, la mia pratica era vuota perché non riusciva ad andare in profondità, a creare gli spazi necessari nel corpo.

Una volta ad esempio per praticare ūrdhva dhanurāsana ordinò agli assistenti di mettermi un peso di 20 kg sul torace e mi disse: “adesso sollevati!” Mi ci vollero giorni per sollevarmi e poi praticai 2 ore al giorno con quel peso fino a che Guruji mi disse “ora basta”.

Il mio ricordo di Guruji è dunque quello di una persona severa, marziale. Per me lo yoga è legato alla disciplina. I tempi cambiano, le cose cambiano, però comunque ci vuole disciplina. Non si tratta di quello che si pubblicizza ora in molti stili yoga dove si mira al divertimento e alla leggerezza. Yoga è uno stile di vita, è una pratica che deve forgiare, cambiare le persone in meglio, partendo dal corpo per arrivare gradualmente agli strati più interni. Quindi per forza di cose ci deve essere disciplina. Guruji diceva a me e ad altri: “Ok adesso basta fermiamoci. Io non mi risparmio ma con voi è diverso”. Aveva compassione per gli altri, ma con sé stesso era intransigente.

Molto spesso Guruji osservava le persone durante la pratica personale, tutti i giorni dalle 9.00 AM alle 12.00 PM esclusi il mercoledì e il sabato nei quali si svolgeva la lezione per le donne. Notava qualcuno che magari stava praticando in modo rischioso. Allora faceva la correzione, una, due volte e osservava se l’allievo la recepiva. Notava anche se lo studente ricordava la correzione e se la praticava regolarmente nei giorni successivi.

La maggior parte delle persone osservava che Guruji usciva dalla sua pratica per correggere il fortunato di turno e lo interpretava come uno spettacolo per poi tornare a quello che stava facendo prima. Lui allora diceva: ”Io tolgo tempo alla mia pratica per insegnarvi, ma voi dopo qualche minuto ritornate all’errore, a fare quello che stavate facendo prima, alla vostra abitudine. Dovete praticare per giorni e giorni sempre la stessa cosa, con i particolari indicati. Solo in quel modo c'è la possibilità di cambiare”. Mi rendo conto che in quei momenti non avevo la vera capacità di assorbire tutto, ma molte di queste cose sono rimaste in me in modo latente e sono fiorite in seguito, anche dopo la morte di Guruji.

Sicuramente quello che mi ha colpito dell’Iyengar yoga è stata la sua completezza, quindi la possibilità di lavorare su persone giovani, con problemi di salute, anziani; non solo sui loro corpi, ma sulle loro menti e gli stati emozionali. L’uso dei supporti è estremamente affascinante ed è utilizzato in caso di un problema o perché la persona non riesce ad eseguire la posizione ma non solo per questo motivo. Guruji diceva di aver inizialmente inventato i supporti perché in fondo le persone sono pigre, intendendo che li trovano “rassicuranti”. Ma lui stesso, ben presto, si rese conto della validità dell’uso del supporto in un modo più accurato. Voleva sottolineare che questo iniziale è un approccio superficiale all’uso dei props. In realtà il supporto dà accesso a punti che in altri modi non si potrebbero raggiungere.
 


 


Nell’ottica di adattare la pratica all’età, ai momenti di vita, al tempo che passa Guruji ha lasciato una grande eredità alla quale possiamo attingere. Quale è il tuo pensiero su questi concetti?

Guruji ebbe due incidenti di una certa entità negli anni 1976-77. Ci volle del tempo perché si rimettesse in piedi completamente. Alcuni medici gli dissero che forse non avrebbe nemmeno ripreso a camminare. Con la sua forza di volontà, con la sua sensibilità mise in pratica osservazioni ed esperienze personali, arrivando non solo a rimettersi in piedi, ma ad eseguire di nuovo tutte le posizioni. Era una persona che andava sempre controcorrente. Non si faceva condizionare dalle opinioni esterne, sia che provenissero da persone semplici, che competenti.

Sicuramente se qualcuno, come il medico di turno, ma anche il suo maestro Krishnamacharya, gli diceva qualcosa, lui non la dava per buona senza averne fatto prima esperienza diretta.

Quando Guruji era vicino ai 60 anni, il suo Maestro Krishnamacharya gli disse di smettere di praticare āsana, di praticare soltanto prāṇāyāma e meditazione da quel momento in poi.

Guruji provò a smettere di praticare āsana per 3 mesi, ma sperimentò poi che per riprendere tutto quello che aveva perso fisicamente e mentalmente ci vollero 3 anni di pratica vigorosa di āsana. Quindi per lui gli āsana non erano un qualcosa da praticare in una fase di vita in cui si è giovani o di mezza età ma andava trovato un sistema grazie al quale gli āsana potessero essere praticati per sempre, fino all'ultimo giorno della propria vita, anche grazie all’uso dei supporti da lui ideati.

BKS Iyengar diceva: “non potete mettere il mio modo di praticare e di insegnare in una cornice”. Perché lui continuava ad elaborare di continuo; giorno dopo giorno venivano fuori nuovi spunti e l’attenzione era rivolta sia all’ aspetto dinamico che a quello statico della pratica degli āsana. Infatti disse: “Ora sono conosciuto per l’aspetto statico e preciso nell’insegnamento degli āsana, ma ho insegnato in maniera dinamica per 60 anni. Pensate che non sia più in grado di farlo?”. Quindi con i bambini, con i ragazzi e spesso con le persone fisicamente integre, insegnava in questo modo. Finché si può andare avanti senza problemi, perché strutturalmente è possibile farlo, è necessario avere anche una pratica di tipo dinamico perché è un lavoro cardiovascolare, aerobico che porta molti benefici ed è l'unico che porta agilità. Questo è un concetto che viene ricordato anche da Prashantji.
 


 

Riguardo al lavoro in posizioni statiche, di attenzione ai minimi particolari, Guruji ricordava di averlo sviluppato quando si era sentito dire da altri insegnanti di yoga di essere un ginnasta. All’epoca il suo approccio all’insegnamento era di tipo dinamico, ma poi, con l’avanzare dell’età, sua e dei suoi studenti, si rese conto che la modalità dinamica non poteva essere la sola, e che, per forza di cose, doveva essere affiancata o sostituita con una pratica statica. Venne anche accusato del fatto che il suo modo di insegnare fosse lontano dalla vera essenza dello yoga, in quanto basato sulla tecnicità dell‘āsana adducendo la mancanza dell'aspetto introspettivo e meditativo.

Da lì si chiese come meditare in ogni āsana, anche nelle posizioni non sedute. E quindi applicò le azioni in maniera tale che la condizione interna potesse essere più vicina possibile ad uno stato meditativo, in qualsiasi posizione. Chi ha avuto la fortuna di vederlo praticare sa che qualsiasi posizione assumesse, all'età di 90 anni, con supporti di diversa natura, era in stato di completa introspezione. Poteva rimanere anche 40 minuti senza muoversi. Prashantji ricorda che non ha insegnato alcune cose, ma questo non significa che non le praticasse. Non le ha insegnate perché gli allievi non erano pronti per affrontare quella condizione, ovviamente doveva sempre mettersi nella condizione in cui gli studenti potessero comprendere.

 

Che consigli ti senti di dare agli studenti per stimolare lo sviluppo di una loro pratica personale, perché noi sappiamo bene che andare a lezione è una cosa fondamentale ma a volte gli allievi tendono un po' a scambiare la classe di yoga per un esercizio fisico, un sostituto della palestra o anche un lavoro. Come far capire questa differenza? Tu che cosa ci suggerisci?

L’esempio. Non si può predicare se non si mette in pratica. Gli insegnanti devono dare l’esempio. Anche tra gli insegnanti c'è chi ha una pratica regolare e consolidata e chi ne ha una più superficiale e saltuaria: questo è innegabile. La disciplina deve essere esercitata su più fronti, deve essere alimentare, fisica, mentale etc. L’insegnante deve essere forgiato da questo tipo di disciplina. Mentre spesso, con gli studenti, l'insegnante si riduce ad un approccio fisioterapico o ginnico. Se si perpetua un approccio di questo tipo, non possiamo aspettarci altro che quello che hai appena detto tu. Gli studenti avranno solo questa esperienza in merito allo yoga, e si limiteranno ad essa. Ma se la pratica dell'insegnante di riferimento diventa più approfondita, va oltre l'esercizio fisico e la fisioterapia, e c'è una ricerca costante anche sulla parte filosofica, sul prāṇāyāma, questo inevitabilmente traspare dal suo modo di insegnare. Questo incuriosisce lo studente. Lo studente va supportato con i consigli e una solida didattica, ma qual è il primo supporto? L'esempio! L’insegnante deve essere l’esempio.
 



 

Cosa ci può aiutare, come insegnanti, e cosa ti ha aiutato a mantenere la qualità degli insegnamenti ricevuti esattamente come sono stati trasmessi “da maestro ad allievo”?

Guruji era un grande esempio. Geetaji raccontava che quando era in uno stato di quasi povertà, la prima cosa che faceva quando aveva degli introiti era pagare i debiti; ha sempre avuto grande rispetto per le persone che l’avevano aiutato e grande compassione per I bisognosi. E’sempre stato estremamente disciplinato. Non è mai trascorso per lui un giorno intero senza la pratica. La sua pratica era basata su una ricerca continua anche nei giorni in cui era stanchissimo, magari tra un viaggio e l’altro. Di sé stesso diceva: “non sono solo maestro, sono studente prima di tutto, perché se non si è studente non si può insegnare nulla, l’apprendimento finisce”. Se la pratica non è più vibrante e questa vibrazione non supporta l'insegnamento, l’energia è stagnante. La pratica deve essere viva in maniera tale da rendere vivo l'insegnamento. L’insegnamento non deve diventare solo un trasferimento di informazioni da insegnante ad allievo.
 


 

Di conseguenza non sono d'accordo con chi dice: ”ho trascritto parola per parola l'insegnamento di Guruji degli anni 70-80 e ora lo trasmetto esattamente nello stesso modo a voi”. Questo non è essere un buon studente di BKS Iyengar perché Guruji evolveva la pratica e l’insegnamento giorno dopo giorno. Bisogna capire che Guruji ha trasmesso la fiamma, tapaḥ, dalla sua pratica all’insegnamento e questa fiamma va ora mantenuta viva. Un insegnamento “stagnante” perde questa vibrazione, è morto. Ci sono insegnanti che sostengono che tutto il suo insegnamento era già presente in Light on yoga, ma in realtà Guruji evolveva il suo insegnamento ogni giorno. Nel momento in cui è venuto a mancare ha lasciato detto: ”La mia fine è il vostro inizio”. Cosa significa? Voleva dire che lo yoga deve continuare ad evolversi, non perché non lo sia abbastanza ma perché contiene un rahasyā, un segreto, che va riscoperto.

Guruji diceva: “Sono sicuro che nel momento in cui verrò a mancare la parte più profonda del mio lavoro andrà persa”. Tuttavia è frequente che si raccontino su di lui solo aneddoti che rischiano di banalizzare e mistificare il suo insegnamento trascurando la sua personalità di ricercatore nell’ambito dello yoga.

Guruji ricordava di essere diventato tale grazie alla disciplina. Anche Geetaji diceva che nel suo percorso era andato ”from zero to hero”. BKS Iyengar non era nato così, la pratica dello yoga lo ha portato poco per volta a diventare quello che è diventato.
 


 

L’insegnamento di Guruji ha dato la possibilità di introdurre chiunque allo yoga ma inevitabilmente poi emergono delle differenze perchè la maggior parte delle persone rimane in uno stato superficiale. Solamente pochi poi continueranno ad andare avanti. Bisogna dare la possibilità di proseguire anche ai pochi che avranno l’interesse a sperimentare i più sottili insegnamenti di Guruji.

Comunque è difficile far capire ad uno studente come sperimentare qualcosa di nuovo e sottile. Di conseguenza l’allievo si deve fidare, deve accettare di essere guidato finché non raggiunge lui stesso l'esperienza che l’insegnante sta cercando di trasmettere.



Come possiamo impostare la nostra pratica in modo tale da affrontare e risolvere il contrasto profondo tra l’attuale epoca di distrazioni, di uso smodato della tecnologia e un percorso tradizionale come quello dello yoga Iyengar?

La nostra è l'epoca dei comunicatori, degli influencer; ma la disciplina si può insegnare solo con l'esempio. Ci saranno sempre persone che verranno ispirate dall’ esempio. Io sono stato ispirato dal Maestro che era una persona disciplinata, forgiata dallo yoga. Diceva: ”Non c'è differenza tra me e lo yoga”. Lui viveva completamente lo yoga, non solo la pratica di un'ora e mezza o due ore al giorno. Il suo esempio ci deve guidare e se noi non lo seguiamo succederà esattamente quello che lui aveva previsto “il mio yoga andrà a morire.”

Io desidero essere uno stimolo, non è sufficiente ripetere le istruzioni, non basta la pratica di 2-3 ore al giorno. Se poi non si evolve, si rimane nell'abitudine, si stagna in quelle determinate azioni che sono state apprese pensando che non ci sia altro. Bisogna rompere l'abitudine.

Non basta nemmeno studiare i testi perché anche questo diventa un lavoro puramente intellettuale. E’importante invece che i testi siano messi in pratica. Molto spesso Guruji è stato accusato di non tenere abbastanza conto dei commentari classici.

Lui rispondeva che non era il suo compito ripetere quello che gli studiosi, gli accademici non praticanti di yoga avevano già fatto; Guruji desiderava commentare i testi in base alla sua esperienza.

 

 

Bibliografia

D. Meloni, Direct-experience-is-real-knowledge--Part-2-of-2-e2ifphu, https://podcasters.spotify.com (19 aprile 2024)

E. Haich, S.R. Yesudian, Sport e yoga, Milano, F.lli Bocca, 1952.

BKS Iyengar, Teoria e Pratica dello Yoga, Roma, Mediterranee, 1966.

BKS Iyengar, La vita e l’opera, Roma, Mediterranee, 1992.

 

Referenze immagini

David Meloni per Archivio AIYI; Yoga Source

 


© Associazione Iyengar Yoga Italia (AIYI), Maggio 2024

Via Leonardo Fibonacci 27 - 50131 Firenze

Tel/Fax 055 674426

info@iyengaryoga.it

Segreteria

contatta la segreteria tramite email: info@iyengaryoga.it o telefonicamente allo 055 674426
Consulta orari

PODCAST

Puntate dedicate agli scritti di B.K.S. Iyengar, di altri autori e approfondimenti riguardanti la pratica e la filosofia.
Ascolta il podcast

Sadhana BLOG

Articoli, approfondimenti, risultati di ricerche
Scopri di più

BLOG Online Education - Prashant Iyengar

Classi su Youtube, sinossi della lezione, trascrizione e traduzione in italiano.
Scopri di più

Seminari e Lezioni IYENGAR® Yoga

Seminari e lezioni di insegnanti certificati
Guarda tutti

Il Metodo IYENGAR® Yoga

Prende il nome dal maestro B.K.S. Iyengar che, in oltre novant'anni di dedizione allo Yoga, ha approfondito lo studio e gli effetti degli Asana e del Pranayama.
Scopri di più

Cerca insegnanti IYENGAR® Yoga

Cerca l'insegnante certificato IYENGAR® Yoga più vicino a te
Cerca un insegnante

Elenco Insegnanti IYENGAR®Yoga

Consulta l'elenco degli insegnanti certificati IYENGAR® Yoga
Consulta elenco

Password dimenticata?

Se sei già iscritto inserisci il tuo indirizzo email per impostare una nuova password di accesso!
Imposta nuova password

Conto Bancario AIYI APS

Associazione Iyengar Yoga Italia (AIYI) APS Numero c/c : 213200000024 Banca: BANCO BPM S.P.A. IBAN: IT52C0503402807000000000024 SWIFT: BAPPIT21N32
Scopri di più

News per insegnanti

Sei un insegnante? Ci sono novità per te! Accedi all'area riservata per scoprirle
Accedi